mercoledì 14 aprile 2010

Il rivoluzionario 2.0

La rivoluzione è un cambiamento radicale dello stato delle cose. Wikipedia la definisce un mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello. Ma nell'immaginario collettivo la rivoluzione è identificata molto più riduttivamente come imboccare le armi per rovesciare il potere costituito e instaurarne un altro, presumibilmente migliore. Ora, a parte il fatto che a me la violenza fa schifo e non credo che possa mai contribuire a migliorare le cose, per quanto alto possa essere l'ideale. Ma poi il metodo della presa del potere tramite un atto violento mi sembra ben poco rivoluzionario, almeno del punto di vista semantico. Secoli di storia ci hanno insegnato che è un metodo piuttosto ordinario, lo abbiamo fatto per secoli e in molte parti del mondo continuano a farlo. Si potrebbe definire quasi un metodo consolidato, un qualcosa che ha sempre fatto parte dello stato delle cose. Ora se rivoluzione è cambiamento radicale dello stato delle cose, perpetrare la violenza non lo cambia affatto questo stato delle cose, ne modifica forse la facciata, ne può migliorare degli aspetti, ma la mentalità della violenza non viene affatto superata.
Per questo mi infastidisce questa visione riduttiva della rivoluzione. Lo stato delle cose si può cambiare, anche in maniera profonda e radicale, senza bisogno di imboccare nemmeno un taglierino. Uno dei modi in cui lo si può fare è utilizzando il potere più grande che questa società ci ha conferito, quello di consumare. Un consumo critico, boicottando i prodotti di quelle società che perpetrano lo sfruttamento, le dittature, la distruzione dell'ambiente, per esempio. A riguardo voglio consigliare un blog che tratta spesso l'argomento ed in maniera anche molto puntuale, ovvero Attaccabottone. E in particolare ci tengo a citare un post scritto da Ross qualche tempo fa che sintetizza egregiamente il concetto a cui faccio riferimento.

ps. comunicazione di servizio. Dal momento che in questo periodo non sempre riesco a trovare il tempo o l'ispirazione per scrivere nuovi post, ho deciso di aprirmi una pagina twitter dove aggiornare sinteticamente e con maggiore frequenza le rilfessioni che mi passano per la testa. E ho messo un riquadrino con le news anche qui sul blog, in alto a destra.

11 commenti:

  1. Non si fa un governo per mantenere una rivoluzione, ma una rivoluzione per instaurare un governo.

    Ecco perché, fondamentalmente, non serve distruggere il potere: esso si ricrea sempre. Molto più semplice puntare ad ottenerlo, quindi.

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  2. @Scuscia: Un pò cinica come conclusione, ma come darti torto. Del resto sono sempre più convinto che qualsiasi rivoluzione sia incompatibile con il potere

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  3. Le rivoluzioni della storia fatte con le armi, il sangue e i colpi di stato non sono mai andate come previsto e non sono mai durate in modo autentico. La violenza degenera l'intenzione e la forma del cambiamento, e non risolve le resistenze mentali e culturali che si oppongono ad esso (anzi, semmai le acuisce).
    Oggi è soprattutto con la scelta quotidiana e consapevole degli stili di vita e di consumo che si può imprimere nuova direzione e nuovo senso a questa nostra società.

    (Grazie della citazione, ne sono lusingata.
    Sul mio blog nelle ultime settimane altri argomenti hanno avuto la priorità rispetto a questa analisi, ma tornerò quanto prima a portare avanti il progetto :)).

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  4. Rivoluzione... parola che probabilmente è stata tolta dal dizionario degli italiani, si credo che fare una rivoluzione possa avere diversi significati, nei comportamenti, nel vivere quotidiano, negli acquisti come giustamente segnali tu e gli amici blogger... per quanto riguarda il passato rivoluzione ha voluto dire anche prendere le armi, perchè il contesto lo richiedeva, perchè ci sono momenti storici che non ti portano nient'altro che a quello e i casi è inutile citarli li sappiamo...
    Quello che è certp è che dovremmo molte volte anche iniziare a farla all'interno di noi stessi in molti piccoli comportamenti
    un saluto

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  5. la rivoluzione come ri-evoluzione. Ci conto da sempre. Le armi aiutano il potere a consolidarsi. Le nostre armi sono le scelte consapevoli (di consumo, di informazione, di qualità di vita), quale modo migliore per cambiare lo status quo che fa schifo?

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  6. La rivoluzione armata spesso è una necessità. Quando la "pace" perpetua l'oppressione (e quindi è una pace apparente, falsa) allora l'uso delle armi serve proprio ad abolire quella violenza.
    Certo, quando è possibile fare a meno delle armi e abolire lo stato di cose presente in modo non violento, ben venga. Rivoluzione è una parola spesso usata e abusata, alcuni parlano di rivoluzione anche per riferirsi ai telefonini. Cioè si intende semplicemente un cambiamento delle abitudini.
    In realtà è legata ad un'altra parola, rivolta, ed è quindi sempre contro il potere, perché vuole letteralmente dire rivoltare l'ordine costituito.

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  7. @matteo; riconosco che storicamente ci sono stati casi in cui l'uso della violenza è stata una necessità, dove l'oppressione era talmente brutale che l'unica via possibile è stata una rivolta armata. Ma quello che hai detto tu "quando è possibile fare a meno delle armi e abolire lo stato di cose presente in modo non violento, ben venga" è fondamentale. Perché nel regime neo-liberista odierno io credo fermamente che è possibile cambiare lo stato delle cose, anche radicalmente, senza l'uso della violenza. Principalmente attraverso il consumo critico. L'enorme forza e ingerenza delle multinazionali nella vita quotidiana, politica e sociale è fornita dai consumatori. Se essi spariscono, sparisce anche il loro potere. E vedendo (o anche forse solo intravedendo) questa strada mi sembra folle, oltre che stupido, pensare alla rivoluzione solo in un'ottica armata. E poi, che vuoi che ti dica, io sono un pacifista. Per come la vedo io la violenza non potrà mai portare nulla di buono.

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  8. Anche io sono un pacifista, anche se non sono un pacifista estremo, perché penso che in alcune situazioni la lotta armata sia non solo necessaria ma inevitabile. Penso però che, come ho appunto detto, la violenza debba essere l'estrema ratio, l'ultima spiaggia e, se possibile va evitata; eviterei di farne una regola generale, per giudicare caso per caso a seconda delle situazioni.
    Per quanto riguarda il consumo critico è senza dubbio una valida forma di protesta e di sensibilizzazione, nonché di risveglio delle coscienze. Però, vederlo come un mezzo in grado da solo di innescare una rivoluzione, mi sembra eccessivo. I consumatori sono tanti e diversi e ognuno ha diversi interessi a seconda del reddito e della classe sociale cui appartiene.
    Inoltre chiedere all'operaio che deve mantenere la sua famiglia con una paga che basta a malapena per lui di fare consumo critico, non so quanto possa interessargli, perché per lui il consumo è "critico" già per il fatto che la selezione dei prodotti è costretto a farla sulla base del suo portafoglio, più che sulle sue preferenze etiche.
    Viceversa non si può pensare di chiedere a un ricco di fare consumo critico. L'esperienza e il buon senso ci insegnano che i ricchi tendono a comprare prodotti di lusso e costosi che non sempre sono prodotti in modo etico.
    Se vogliamo pensare di innescare una rivolta capace di superare lo status quo dobbiamo pensare a come riunire i lavoratori e ricominciare a lottare sui luoghi di lavoro. Quello che vedo è che invece questi vengono spesso lasciati soli, anche quando decidono di alzare la testa e di lottare.
    Scusa se mi sono dilungato e se ho messo qualche puntino sulle i. Ma la complessità del discorso lo richiedeva.

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  9. @matteo: solo il consumo critico non può ovviamente produrre una rivoluzione, questo lo so. Io intendevo che, tra i vari strumenti non violenti che possono portare ad una rivoluzione sicuramente c'è il consumo critico, perché tocca uno dei nervi principali nel nostro sistema occidentale. Inoltre sono ben consapevole che convogliare una massa enorme (e tale dovrebbe essere per produrre qualcosa) al consumo critico è molto difficile. Ma grossomodo difficile come organizzare un esercito pronto alla guerriglia. A mettere in pratica una rivoluzione, comunque la si veda, non è affatto una passeggiata.
    Riguardo alla prolissità non ti devi scusare, anzi è sempre un piacere confrontarsi su queste tematiche

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  10. E' vero fare la spesa è come fare politica e votare. Ma non basta. Certo essere più coscienti in ogni tipo di scelta che si fa è importante e puù creare nuovamente una coscienza interiore più attenta e sensibile e pronta anche a ribellarsi.

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  11. Alla rivoluzione connetto l'idea di un cambiamento profondo ideale, politico, religioso, di costume e quant'altro si voglia. Credo che, per questa ragione, debba essere un atto di responsabilità. Per questo son d'accordo con chi dice che prima di fare la rivoluzione nel mondo occorre farla dentro noi stessi. Un caro saluto, Fabio

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